Lo stato italiano è “imprenditore”, ma quasi fallito – Andrea Bernaudo su Libero del 31/7/2020
Sentiamo ripetere dalla sinistra italiana e dai Sindacati da molti anni e adesso dal governo, primeggia in questo il ministro Gualtieri – che in Italia c’è un cronico problema di disuguaglianze. Genericamente tra ‘ricchi’ e ‘poveri’.
L’obiettivo di questa litania anti-capitalistica stantia e anni ‘50, serve ai fautori del “+ stato!” per legittimare un maggior intervento redistributivo in Italia, dove lo stato con le sue innumerevoli articolazioni già intermedia il 60% dell’economia.
Uno stato già super imprenditore, ma con i risultati fallimentari che sono sotto gli occhi di tutti. La realtà dei numeri ci dice che il nemico da combattere non sono le ‘disuguaglianze’ di cui parlano questi signori.
La pandemia ha reso palese la nuova tragica spaccatura nella nostra società, che è quella che ha contrapposto, a colpi di DPCM, coloro che hanno mantenuto integro e garantito il proprio reddito pubblico e tutti gli altri. Le nuove disuguaglianze in Italia sono queste e bisogna esserne consapevoli.
Contro le banalità del mainstream politico bisogna far valere alcuni dati.
Nell’ultimo ventennio – la spesa pubblica in Italia, quindi lo stato, al netto dell’inflazione e rispetto al Pil, non è mai calata, e dunque non c’è stata alcuna austerità da parte del leviatano.
Nonostante la crisi del 2008/2013 e la stagnazione del PIL, lo stato si è ingrassato sempre di più. La parziale verità per cui la spesa netta per il personale pubblico è aumentata in minima parte nasconde tanti altri dati di grande interesse.
È enormemente cresciuta la spesa per trasferimenti (dal 38,9 al 44,1% della spesa del settore pubblico allargato, in un raffronto tra 2000 e 2018), soldi, cioè, messi in mano ai destinatari in modo diretto.
Questo giochetto consente al ‘partito unico della spesa pubblica’ di mentire dicendo che ci sono margini per far salire ancora la spesa.