Una premessa doverosa a questa analisi è che la verifica di come e quanti denari pubblici (ovvero soldi dei contribuenti) sono stati incassati attraverso imposte, tasse, bolli ed accise, e spesi dal governo nel corso del 2023 e 2024, poco hanno a che fare con la crescita degli indicatori economici del Paese. Lo Stato, infatti, non può creare occupazione né crescita economica. Può solo sottrarre risorse al settore privato, diminuendo le disponibilità dello stesso ad alimentare da un lato consumi privati e dall’altro investimenti privati. L’intermediazione dello Stato in questi meccanismi riduce la disponibilità di reddito per consumi e la disponibilità di capitali per gli investimenti necessari all’aumento della produttività totale dei fattori.
Questa premessa serve a spiegare che l’analisi dei conti pubblici che segue è un mero esercizio contabile, partendo dal presupposto che l’enorme spesa pubblica rapportata al PIL dell’Italia e di tutti i paesi europei, con sistematico drenaggio di risorse dalle tasche dei “wealth creators” (gli imprenditori), è il presupposto del mancato sviluppo economico rispetto ad altre aree del mondo.
I dati degli ultimi anni delle economie europee e di quella italiana, in particolare, stanno lì a ricordarcelo.
Nel terzo trimestre 2024, la pressione fiscale è stata pari al 40,5%, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (Istat)
Come si evince dai due grafici, la riduzione della disoccupazione e l’aumento dell’occupazione è una tendenza in atto da diversi anni.
Tutto ciò premesso, dobbiamo osservare che l’Italia è e rimane fanalino di coda in Europa per tasso di occupazione.
Nonostante i lavoratori abbiano raggiunto livelli record nel 2023 il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni si è attestato al 66,3%, lontano quasi 10 punti dalla media Ue (75,4%).
Per ogni giovane che arriva in Italia dai paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero.
Tra il 2022 e il 2023, circa 100.000 giovani italiani hanno lasciato il Paese, segnando un aumento rispetto agli anni precedenti
Rispetto al resto d’Europa, l’Italia è all’ultimo posto per capacità di attrazione di giovani, accogliendo solo il 6% di europei, contro il 43% della Svizzera e il 32% della Spagna. Molti vanno via per ricercare migliori opportunità lavorative (25%), ma anche per studio e formazione (19,2%) e per cercare una qualità di vita più alta (17,1%). Il 10% invece è alla ricerca di un salario più alto (fonte Fondazione Nord Est).
Secondo i dati dell’OCSE, l’Italia si colloca al 21º posto su 34 paesi per stipendio medio annuo, con una retribuzione lorda di circa 44.893 euro nel 2023. 
È importante notare che, tra il 1991 e il 2022, i salari reali in Italia sono aumentati solo dell’1%, a fronte di una crescita media del 32,5% nell’area OCSE. 
Inoltre, l’Italia presenta un cuneo fiscale significativo: nel 2023, il peso del fisco sui salari è stato del 45,1%, posizionando il paese al quinto posto tra i membri OCSE per pressione fiscale sul lavoro. 
Questi dati evidenziano una stagnazione dei salari reali in Italia negli ultimi decenni, accompagnata da una pressione fiscale elevata rispetto ad altri paesi dell’OCSE.
In sintesi, l’Italia è sempre ben lontana dal livello di pressione fiscale e di spesa pubblica ottimali che favoriscano la crescita economica ed una sana gestione della finanza pubblica.
Ciò è determinante nella stagnazione che caratterizza l’economia italiana negli ultimi decenni in netto contrasto con la crescita media mondiale che si attesta, da inizio secolo, attorno al 3% annuo: il pil mondiale è raddoppiato da inizio secolo; il pil italiano, i redditi medi, da allora, sono sostanzialmente fermi. Ed i poveri sono triplicati.
La curva di Laffer permette di visualizzare la correlazione tra pressione fiscale e gettito fiscale.
La teoria su cui si basa illustra come l’aumento della tassazione può causare anche una diminuzione delle entrate fiscali perché determina un rallentamento congiunturale.
L’equazione di Laffer è stata ideata dall’omonimo economista statunitense Arthur Laffer, esponente di rilievo dell’amministrazione Reagan. Il grafico, che prende il suo nome, ha l’aspetto simile a quello di una campana e descrive, a livello teorico, come le entrate fiscali reagiscono al variare dell’imposizione fiscale.
Meno nota della curva di Laffer (derivante da diversi modelli di tassazione ottimale) e sviluppata dall’economista e deputato statunitense Richard Armey, la curva di Armey mira ad identificare quale relazione ci sia tra la crescita della spesa pubblica, in percentuale del PIL, ed il tasso di crescita del PIL stesso; ponendo le due grandezze in un grafico, sull’asse delle ascisse si registra la spesa pubblica in percentuale del PIL mentre sull’asse delle ordinate viene raffigurato il tasso di crescita del PIL.